Recensioni - Antispecismo e pensiero queer / Percorsi per un'autodeterminazione (Benedetta Piazzesi, A rivista anarchica)



Benedetta Piazzesi - A Rivista Anarchica, n. 403, dic. 2015 / gen. 2016
"Antispecismo e pensiero queer / Percorsi per un'autodeterminazione", recensione a Corpi che non contano. Judith Butler e gli animali


Se d'improvviso immaginassimo di trovarci al centro di uno dei capannoni in cui si allevano polli broiler, o di venire catapultati a bordo di un peschereccio industriale al termine della sua giornata di strascico, di fronte a quelle distese di innumerabili forse un brivido ci suggerirebbe che cosa significa per un corpo non contare nulla.
Corpi che non contano. Judith Butler e gli animali (Mimesis, Milano, 2015, pp. 108, € 10,00) è un titolo che può essere letto in molte direzioni. Gli animali “da reddito” nella nostra società sono corpi che non contano. Ed è per questo che molto spesso i loro cadaveri sono tanti che non si contano. Ma è anche un modo per interloquire con una delle più importanti filosofe del nostro tempo, Judith Butler (che ha scritto un testo famoso dal titolo Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”), e provocarne il pensiero verso nuovi orizzonti di senso.
Butler negli ultimi venti anni ha offerto alcuni dei contributi più interessanti per la filosofia contemporanea, in cui l'analisi della performance di genere e il riconoscimento del lutto come questione intrinsecamente biopolitica articolano una riflessione sui processi di costituzione del soggetto e sul suo posizionamento nella struttura simbolica della nostra società. Butler ha risposto con interesse alla provocazione con cui i curatori Massimo Filippi e Marco Reggio la intervistano a proposito della questione animale. E ciò è forse potuto accadere perché il pensiero queer e femminista, in quanto tenacemente fedele alla problematica dei corpi, ha per lunghi anni affilato gli strumenti più efficaci a decostruire la violenza strutturale su determinate categorie di viventi, e i binarismi normativi che sono capaci di “tagliarli fuori” dalla comunità morale.
I contributi che accompagnano l'intervista rafforzano il ponte con il pensiero antispecista e ci aiutano a rileggere, radicalizzandolo, il dibattito contemporaneo sul biopotere, sulle “vite precarie” e sulla vulnerabilità intesa non come limite ma come fondamento della comunità dei viventi. Filippi, Stanescu, Reggio, Iveson e Zappino partono dal confronto, appassionato e irriverente al tempo stesso, con i testi di Butler per parlare della necessità di riconoscerci “vite precarie”, corpi vulnerabili, “carne del mondo”, insomma in definitiva animali.
Al termine della lettura l'animalità si delinea come la soglia imprescindibile per capire i processi di distribuzione del potere, del privilegio, del riconoscimento morale, finanche della vita e della morte. Come suggerito da Massimo Filippi nell'Introduzione, «la definizione ontologica di che cosa sia una vita non può essere sganciata da una discussione squisitamente biopolitica». Impianto teorico che ci permette di individuare chiaramente nella questione “che cos'è la vita?” il problema fondamentale della nostra epoca, problema che non a caso è allo stesso tempo d'ordine metafisico, scientifico e politico.
È a partire da qui che si può cominciare a rintracciare, attraverso i diversi autori della raccolta di saggi, una tessitura nuova sul tema della vita e dei viventi, che sfida il paradigma moderno della Persona e della Vita, sacre e continuamente sacrificabili, e sviluppa arditamente tutte le possibilità dei concetti butleriani. Segue dunque al momento decostruttivo l'immaginazione di nuove forme etiche e sociali, «indispensabili per una politica che si fondi sulla corpeazione condivisa, una politica capace di metterci nella condizione di affrontare la realtà violenta della contemporaneità». Il lutto è il perno su cui si articola questo movimento in avanti: la consapevolezza della comune vulnerabilità dei viventi è portatrice di intenzionalità politica nel momento in cui, per dirla con le parole di Marco Reggio, «desidera che il proprio dolore per un evento ormai passato si rivolga al presente e al futuro, nella forma di una rivendicazione politica radicale».
Ecco dunque che quello tra pensiero antispecista e pensiero queer si fa uno scambio assolutamente biunivoco di strumenti concettuali. Se la “norma eterosessuale” sarà uno strumento utile agli animalisti per capire come funzionino i dispositivi di naturalizzazione delle performance sociali, è la questione animale che, secondo Federico Zappino può inquadrare anche il regime politico dell'eteronormatività in un dispositivo più ampio e che egli definisce “norma sacrificale”.
Ed è infine grazie a questa nuova amicizia che il movimento per la liberazione animale può abbandonare una volta per tutte la posa virile del protettore e quella eroica del salvatore, e interpretare il proprio agire politico come una forma di sostegno a una resistenza che viene innanzitutto dagli animali stessi, veicolo quindi di “solidarietà politica” alla loro autodeterminazione, in quella che «è già una società multispecifica».
Intorno alla voce di Butler i curatori costruiscono così un canto a più voci, che è quasi un requiem perché testimonia del lutto per gli esclusi, e quasi un canto di protesta attorno a cui si raccolgono le forze per sfidare il potere.